I nostri sensi: la guida più importante

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Lo studio InCentrum, lo spazio dove incontriamo quotidianamente i nostri pazienti, è un osservatorio privilegiato che ci permette di orientarci rispetto alle patologie dell’anima emergenti. Un male comune di questi tempi è l’infelicità, la mancanza di soddisfazione, il costante senso di vuoto che sembra non fare distinzione tra classi sociali, stili di vita o ambienti professionali frequentati. L’uomo moderno è il più ricco della storia, ma non è felice ed è incalzato da una nuova paura: teme di non andare bene, è in perenne e inefficace ricerca del modo giusto di apparire, amare, comunicare, essere. Dietro questa insicurezza c’è un vuoto profondo. È quello lasciato dai sensi, antica guida dell’uomo fin da quando fissava l’impronta delle mani sulle pareti delle caverne, ma di cui ha gradualmente smesso di servirsi. Sono sempre stati i nostri sensi a dirci chi siamo, cosa dobbiamo e possiamo fare.

L’uomo moderno ha sognato di sostituire i sensi che la natura ci ha donato con strumenti tecnologici, pronti a connettersi e a comunicare al suo bisogno o comando. Si è così realizzata la fantasia di collegare direttamente la mente umana al mondo, internet e i social network ne sono la prova più evidente, tagliando fuori il corpo, fardello ingombrante. Tuttavia ci stiamo accorgendo che il connettersi non può sostituirsi al sentire, e lo dimostrano le patologie psicologiche emergenti strettamente collegate al tema dell’immagine. Questa, prodotta da un televisore o da uno smartphone di ultima generazione, pur sapientemente predisposta, non ci darà mai la sicurezza prodotta dalle informazioni perfettamente organizzate per la nostra unica e irripetibile persona dai nostri unici e altrettanto irripetibili sensi, lascerà perciò sempre nel profondo una sensazione di approssimazione che non potrà che produrre ansia e altre forme di disorientamento psichico. Ne consegue che sicurezza personale, spontaneità e benessere non possono che nascere dall’armonica e continua comunicazione tra la personalità individuale e i nostri sensi, antiche e perfette centrali di informazione, comunicazione e relazione con gli altri e con il mondo.

L’uomo ha ormai a disposizione un enorme materiale, statistico, medico, psicologico, creativo, filosofico, sufficiente a capire che senza i sensi non va da nessuna parte, e soprattutto è profondamente infelice. Con l’utilizzo dei sensi l’uomo potrebbe riscoprire una nuova immagine di sé per incontrare l’altro in modo diverso e più felice, non condizionato dalle mode collettive ma ispirato da ciò che la persona sente veramente. Questo permetterebbe di vivere una vera esperienza sensoriale oltre che affettiva. Il senso del tatto svolgerebbe il suo compito di avanscoperta dell’altro e il senso della vista verrebbe impegnato a mettere a fuoco un’immagine nuova, non una ripetizione di modelli patinati o di pagine web. A questo punto il cuore sarebbe abbastanza caldo per provare un vero, personale piacere nell’ascoltare la voce dell’altro e i suoni della natura e del mondo. Con i sensi è così: più li si sperimenta, più aumenta l’energia e la voglia di sperimentarli insieme e in modo più profondo. Il ritorno del tatto, e di uno sguardo personale, non automatico o distratto, offrirebbero allora sufficiente audacia per osare il senso più proibito nella società che sopprime i sensi e allo stesso tempo guida più antica e sviluppata in tutto il regno animale: annusare, inspirare profondamente. Quando ricominceremo ad annusare il mondo, e ad annusarci, il gusto per la vita sarà già tornato, e con esso il vero benessere.

Quando storia, mito e leggende si fondono ogni anno nella patronale

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San Savino, vescovo di Spoleto alla fine del III secolo d.C., patrono che non ha mai conosciuto la città di Ivrea e che in essa è entrato circa seicento anni dopo la sua morte, Eporedia, città fondata dai Salassi, popolo di origine celtica, stabilitosi nel V secolo a.C. in Canavese, ed Epona, la grande giumenta, figlia di un uomo e di una giumenta, dea dei cavalli e dei muli, divinità di origine celtica, che prende posto tra gli dei della mitologia romana, si incontrano da moltissimi anni in questo luogo per dare vita ad una festa profondamente sentita dagli eporediesi, che unisce cristianesimo e paganesimo assumendo una valenza fortemente simbolica nell’anima della città che la ospita e nei suoi visitatori che, in gran numero, ogni anno intervengono. In quei giorni padrone della città diventa il cavallo, simbolo di Ivrea. Ma che cos’è un simbolo? Un simbolo è un’immagine o un oggetto che acquista il suo valore simbolico attraverso i significati e le emozioni che evoca in noi. È con questa idea di simbolo che occorre guardare alla festa equestre di San Savino. È nell’immagine simbolica del cavallo che si consolida il senso di appartenenza a questa città. L’attaccamento alla festa ad esso dedicata e la necessità di ripeterla ogni anno trova significato nel bisogno di ricordare le proprie origini e i propri antenati.

L’importanza della figura del cavallo è collettiva e transculturale, non riguarda solo Ivrea. Questa splendida creatura ha assunto nel corso dei secoli, in moltissime civiltà, un significato simbolico molto forte. I bellissimi cavalli bianchi sono sempre stati apprezzati, sia come cavalcature dei sovrani, sia per trainare in cielo i carri degli dèi. Oltre ai re e agli dèi, anche i messia e i profeti cavalcano simili creature, e sarà su di un cavallo bianco che il profeta Maometto tornerà la seconda volta. Sul frontone del Partenone sono raffigurati maestosi cavalli che trainano il carro del sole e quello della luna. Il cavallo nero è presagio di morte e viene ovunque considerato adatto ai funerali, per accompagnare le anime nell’Oltretomba. Il cavallo, dunque, ha anche un lato sinistro e catastrofico sottolineato, per esempio, nel libro dell’Apocalisse quando i primi quattro sigilli vengono rotti e in groppa a quattro cavalli appaiono i quattro cavalieri dell’apocalisse, che simboleggiano la guerra, la carestia, la peste, la morte. Il simbolismo equestre non si limita al regno celeste, si estende anche alla terra, al mondo sotterraneo e al mare. I cavalli che Poseidone sprona emergendo dalle onde sono le forze cosmiche che erompono dal caos primordiale dell’abisso. Domare e costringere queste forze al volere dell’uomo è un’allegoria della civilizzazione: il trionfo dell’intelligenza disciplinata e della determinazione sulle forze della natura. Il fatto che cavalieri eroici come San Giorgio combattano contro il drago montando a cavallo non fa che accentuare questa implicazione allegorica.

Tra la moltitudine di storie e di miti che parlano di cavalli, vogliamo ricordare una vicenda che vede protagonisti due celebri divinità greche, che come sapete, sono a noi estremamente care: Poseidone, il dio del mare e dei terremoti, donò il cavallo all’umanità, ma la saggia Atena consegnò all’uomo le briglie. Con questi doni l’uomo ha potuto convogliare a sé la potenza del cavallo e farlo suo alleato, tanto nelle occasioni infauste quanto in quelle di gioia, come la festa di San Savino.

Teseo e Arianna, il tradimento e la fiducia

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Il precedente articolo di InCentrum trattava l’argomento della vita e delle molteplici strade che ognuno di noi può decidere di intraprendere. Il mito raccontava di un filo, la vita degli uomini, che veniva tessuto da tre donne: la nascita, lo scorrere dei giorni e la morte. Anche in questo articolo parleremo di un filo. Un filo che segnerà la sorte di un giovane uomo e di una fanciulla, dei loro familiari e dei loro popoli e che racconterà di fiducia e di tradimento. Il giovane si chiama Teseo, è destinato a diventare il sovrano di Atene, lei si chiama Arianna ed è la figlia del re di Creta. Il filo che segna le loro vite è il filo che Arianna dona a Teseo per aiutarlo a uscire dal labirinto. Il racconto è comunemente noto. Ma cosa si nasconde dietro a questa vicenda?

Il Minotauro, figura mitologica con il corpo da uomo e la testa di toro, è rinchiuso in un labirinto sull’isola di Creta. La creatura si nutre solo di carne umana. È figlio di un tradimento.La moglie di Minosse, il re dell’isola, ha infatti tradito il marito con un toro e il Minotauro è il frutto di questa unione. Il re, quando vede nascere la creatura, decide di rinchiuderla in un labirinto fatto costruire appositamente, dal quale nessuno sarebbe potuto uscire. Né il Minotauro né le sue prede. Ogni anno, sette fanciulli e sette fanciulle ateniesi, sono inviati all’interno del labirinto per saziare la fame della creatura.

Un giorno giunge a Creta, tra il gruppo di giovani che sarebbero stati sacrificati, Teseo, figlio del sovrano di Atene. Egli è intenzionato a uccidere il Minotauro, così da interrompere questi sacrifici umani di suoi giovani concittadini. Teseo chiede allora aiuto ad Arianna, figlia di Minosse e sorellastra del Minotauro, promettendo di sposarla se lo avesse aiutato a portare a termine il suo progetto. Arianna è perdutamente innamorata di Teseo e gli dona un gomitolo di filo da srotolare a mano a mano che si fosse inoltrato nel labirinto, così, una volta ucciso il Minotauro, avrebbe ritrovato la via di uscita.Teseo compie l’impresa e fa ritorno ad Atene portando con sé Arianna che lo segue, lasciando la sua famiglia e la sua terra. Tuttavia, sulla via del ritorno, sull’isola di Naxos, dove le navi di Teseo si sono fermate per la notte, l’uomo abbandona Arianna mentre lei sta dormendo. La mattina quando la donna si sveglia si accorge che accanto a sé non c’è Teseo, e neanche la nave e tutto l’equipaggio. Arianna è stata abbandonata a Naxos, piantata a Naxos, piantata in asso.

Arianna è una donna coraggiosa ed intelligente che per amore non esita ad abbandonare la propria famiglia e la propria patria. Anzi è disposta ad andare a vivere ad Atene, città nemica di Creta. Eppure cade nel tradimento di Teseo. Questo mito racconta di un susseguirsi di tradimenti, la moglie di Minosse tradisce suo marito con il toro, unione da cui nascerà il Minotauro, Arianna tradisce suo padre e suo fratello, il Minotauro, aiutando Teseo ad ucciderlo, Teseo rincorre il potere e tradisce Arianna, accecata dall’amore, abbandonandola nel suo viaggio di ritorno ad Atene.

La vicenda appena raccontata, così come tutti i miti, si presta a molteplici letture e interpretazioni. Ci piacerebbe focalizzare l’attenzione sul tema del tradimento e della fiducia. Non esiste fiducia senza la possibilità del tradimento. Possiamo essere traditi laddove ci fidiamo davvero, ossia nei rapporti più intimi: fratelli, amanti, mogli, mariti, figli, genitori, non dai nemici, non dagli estranei. Più grandi sono l’amore e la lealtà, il coinvolgimento e l’impegno, più grande è il tradimento. La fiducia ha dentro il seme del tradimento. La fiducia e la possibilità di tradimento fanno la loro comparsa nel mondo nel medesimo istante. Ovunque in una unione esiste fiducia, il rischio del tradimento diventa una possibilità reale.

È l’individuo tradito a dover trovare il modo di risorgere, a dover fare un passo avanti dandosi da sé un’interpretazione dell’accaduto. Questa è potenzialmente un’esperienza di vita creativa, che può offrire spazio al cambiamento e a una nuova progettazione di sé con l’attivazione di nuovi ruoli. Arianna, dopo essere stata abbandonata a Naxos e aver trascorso piangente giorni lunghissimi, si dà la possibilità di una nuova vita. Arianna piange tutte le proprie lacrime. Ogni individuo tradito deve passare attraverso un processo di morte e rinascita per poter ritrovare la propria anima. Al culmine del pianto e della disperazione viene salvata da Dioniso, che la prende in moglie. Il dio le regala un diadema che, tramutato in costellazione, brillerà in eterno nel cielo.

 

 

 

È un dio sopra di noi che decide la nostra vita oppure tutto si riduce al Caso?

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Che cos’è il Destino? È un dio sopra di noi che decide la nostra vita oppure tutto si riduce al Caso?

Noi di InCentrum riponiamo fiducia nella sapienza degli antichi Greci, dove affondano le radici della nostra cultura e dove spesso si trovano, nella mitologia e nella sua interpretazione, le risposte ai quesiti profondi sulla natura e sull’esistenza generalmente intesa. Cosa credevano dunque i Greci a proposito del Destino? Per gli antichi Greci il Destino era una certezza. Nulla si poteva fare per modificare ciò che era stato scelto fin dall’inizio. Si poteva solo decidere di vivere rispettando al meglio i propri valori, mostrando a sé e agli altri le proprie ricchezze e capacità.

Il mito narra di Er, figlio di Armenio,soldato valoroso morto in battaglia. Il suo corpo, raccolto e portato sul rogo mentre stava per essere arso, si ridestò dal sonno mortale.Egli al suo risveglio raccontò quello che aveva visto nell’aldilà. La sua anima, appena uscita dal corpo, si è unita a molte altre edè arrivata in un luogo divino dove i giudici delle anime pongono sul petto dei giusti e sulle spalle dei malvagi la sentenza, ordinando ai primi di salire al cielo e agli altri di andare sottoterra. Chi in vita ha commesso ingiustizie è punito con una pena dieci volte superiore al male commesso, mentre le buone azioni sono premiate nella stessa misura. Tutti i castighi inflitti sono temporanei e dopo mille anni le anime si incamminano per tornare sulla terra. Queste percorrono a piedi un’ampia pianura finché non giungono in vista di un arcobaleno e di un fuso sospeso. Lì, le anime si trovano di fronte ad una madre con le sue tre figlie. Sono Ananke e le tre Moire. Ananke è la Necessità, l’antico decreto degli dei. Una figura violenta, inesorabile, che non dà tregua. È la forza avversa, è l’impossibilità che qualcosa sia diversamente da come è. Essa esiste da sempre, fin dalla notte dei tempi. Non ha volto, è un essere incorporeo, le cui estensioni, come braccia immensamente lunghe racchiudono e contengono tutto. Chi ha un volto sono invece le sue tre figlie, che hanno il compito di eseguire il volere di Ananke. Di bianco vestite, siedono in cerchio su tre troni a uguale distanza e tessono un fuso. Vicino giace la loro madre che assiste al loro operato. Le Moire filano i giorni della vita degli uomini. Cloto, regge il filo della vita, che viene poi misurato da Lachesi che dispensa la sorte avvolgendo al fuso il filo; infine l’inesorabile Atropo, la maggiore tra le sorelle, con in mano le forbici taglia il filo della vita, determinando il momento irrevocabile della morte.Le tre Moire decidono la nascita, il corso della vita e il momento della morte. Le anime si trovano tutte in fila, di fronte al fuso sospeso di Ananke e alle sue tre figlie. Lachesi, la prima delle sorelle, parla: “Anime, che vivete solo un giorno, comincia per voi un altro periodo di generazione mortale, portatrice di morte. Scegliete la vita che più vi piace. Siete liberi di scegliere ogni tipologia di vita.La responsabilità è di chi sceglie. Gli dèi non sono responsabili.” Le anime devono scegliere chi vogliono diventare nella vita: un animale, un uomo, una donna, un pastore, un tiranno, un eroe, un pescatore… poi le tre sorelle tessono il filo della vita scelta dall’anima; Ananke è segnata.Infine le anime proseguono il loro cammino finché in una pianura bevono da una fonte l’acqua dell’oblio, si addormentano e vengono lanciate nell’avventura del nascere.

Le anime scelgono quindi la loro vita, Ananke segna il loro Destino. La lunghezza del filo che esse concedono a un mortale dipende esclusivamente da loro. Nessuno può opporsi a ciò. Né Zeus, né gli altri dèi possono modificare il volere di Ananke, ciò che è necessario avviene. La vita stessa degli dèi è soggetta al suo volere. E tutti gli dèi, nonostante i loro poteri,sono tenuti alla sua obbedienza, in quanto Ananke garantisce l’ordine dell’universo. Si può solo accettare la scelta che è stata fatta dalla nostra anima accogliendone le conseguenze del suo Destino vivendolo al meglio delle possibilità che ci sono state concesse, o meglio che abbiamo scelto e che scegliamo quotidianamente lungo il percorso che chiamiamo Vita. Perché tutte le volte che ci troviamo nell’obbligo di affrontare una scelta, quando siamo in prossimità di un bivio, ricordiamoci che lì, in quel momento, abbiamo di fronte a noi Ananke e le tre Moire, lì stiamo decidendo il nostro Destino.

Il lutto: la possibilità di accettare una perdita.

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Il lutto è definibile come uno:

… stato psicologico conseguente alla perdita di un oggetto significativo, che ha fatto parte integrante dell’esistenza. La perdita può essere di un oggetto esterno, come la morte di una persona, la separazione geografica, l’abbandono di un luogo, o interno, come il chiudersi di una prospettiva, la perdita della propria immagine sociale, un fallimento personale e simili (Galimberti, 1999).

La sofferenza che proviamo dal distacco e dal cambiamento è direttamente proporzionale all’intensità del legame che sentiamo verso l’oggetto esterno o interno. Questa sofferenza si può manifestare attraverso differenti sintomi e segnali; vi possono essere difficoltà di concentrazione, stati confusionali, disorientamento, pensieri negativi ricorrenti.
Le emozioni predominanti possono essere: paura, rabbia, solitudine, tristezza, disperazione. Sono frequenti diminuzione dell’energia, dolori muscolari, sintomi somatici d’ansia (tachicardia, vertigini, cefalea, ecc.), disturbi del sonno, disturbi del comportamento alimentare, dipendenza dagli altri.

Secondo la teoria di Kübler Ross l’elaborazione del lutto consiste in un processo che si sviluppa attraverso 5 fasi. Queste non seguono un ordine predefinito, ma possono presentarsi con differenti tempistiche, alternanze, intensità.

Negazione/rifiuto: shock e stordimento per la perdita;

Rabbia (verso il destino, il mondo, gli altri): necessità di direzionare il dolore e la sofferenza esternamente (forza superiore, dottori, società…) o internamente (sensi di colpa);

Contrattazione/patteggiamento: speranza di ritornare alla condizione precedente;

Depressione: profonda tristezza e dolore per la realtà e l’irrimediabilità dell’evento;

Accettazione: costituita dalla totale elaborazione della perdita e dall’accettazione della differente condizione di vita. Riorganizzazione e ritorno alla vita conservando i ricordi, senza che questo determini un dolore insopportabile.

Cosa può fare lo psicologo?

Egli permette alla persona di riconoscere, condividere e accettare il lutto. Il sostegno di uno psicologo garantisce l’elaborazione del lutto in tempi brevi, aiuta a sentire la sofferenza senza paura e a dare un senso alla Vita.